Il termine crowdsourcing (da crowd, gente comune, e outsourcing, esternalizzare una parte delle proprie attività) è un neologismo che definisce un modello di business nel quale un’azienda o un’istituzione affida la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto, oggetto o idea ad un insieme indefinito di persone non organizzate in una comunità pre-esistenti. Questo processo viene favorito dagli strumenti che mette a disposizione il web e viene reso disponibile, in open call, attraverso dei portali presenti sulla rete internet.
Ad esempio, al pubblico può essere richiesto di sviluppare nuove tecnologie, portare avanti un’attività di progettazione, definire o sviluppare un algoritmo, o aiutare a registrare, sistematizzare o analizzare grandi quantità di dati.
Inizialmente il crowdsourcing si basava sul lavoro di volontari ed appassionati che dedicavano il loro tempo libero a creare contenuti e risolvere problemi. La community open source è stata la prima a trovarne beneficio. L’enciclopedia Wikipedia viene considerata da molti un esempio di crowdsourcing volontario.
Oggi il crowdsourcing rappresenta per le aziende un nuovo modello di open enterprise, per i freelance la possibilità di offrire i propri servizi su un mercato globale.
Questo termine è usato spesso da aziende, giornalisti e altre categorie per riferirsi alla tendenza a sfruttare la collaborazione di massa, resa possibile dalle nuove tecnologie del Web 2.0, per raggiungere determinati obiettivi. Ciononostante, sia il termine che i modelli di business che sottintende sono oggetto di controversie e critiche.
A parte i facili ottimismi di James Surowiecki, il cui libro La saggezza della folla si ispira nel titolo a quello ben più pessimista di Charles Mackay (La pazzia delle folle. Ovvero le grandi illusioni collettive), perché la folla sia superiore al gruppo degli esperti e non cada facilmente in errori grossolani e catastrofici deve essere rispettato un principio d’attitudine all’abilità quanto alla diversità come dimostra scientificamente Scott E. Page nel suo Teorema.
Il termine crowdsourcing è stato usato per la prima volta da Jeff Howe in un articolo del giugno 2006 per la rivista Wired, dal titolo The Rise of Crowdsourcing. Secondo Howe, la potenzialità del crowdsourcing si basa sul concetto che, siccome si tratta di una richiesta aperta a più persone, si potranno riunire quelle più adatte a svolgere determinate attività, a risolvere problemi di una certa complessità, e a contribuire con idee nuove e sempre più utili. Grazie ai recenti sviluppi tecnologici, si è assistito a una grande diminuzione dei costi dei computer e di altri apparecchi digitali, che ha portato a una riduzione del divario fra professionisti e amatori del settore. In questo modo le aziende hanno la possibilità di sfruttare il talento della grande massa di utenti. Nel settembre 2010, Henk van Ess ha dato una definizione meno “commerciale” del termine; secondo lui, infatti, il crowdsourcing consiste nell’indirizzare il desiderio degli esperti di risolvere un problema e poi condividere liberamente la risposta con chiunque.
Di recente la rete Internet è stata usata per pubblicizzare e gestire varie attività di crowdsourcing, ma molti altri progetti basati sull’utilizzo dell’intelligenza collettiva sono stati portati avanti ben prima dell’introduzione di questo nuovo termine.
Fonte: Wikipedia